La sicurezza sul lavoro nel mondo dello spettacolo non è solo una questione normativa, ma una questione culturale. A portarla avanti, da oltre trent’anni, è stato anche Doc Servizi, che ha trasformato la gestione del rischio in una pratica condivisa e consapevole. In questa intervista, Demetrio Chiappa, presidente di Doc Servizi, ripercorre i momenti chiave di questo percorso: dalla legge 626 fino alla gestione attuale dei cantieri degli eventi, raccontando episodi, sfide e soluzioni concrete che hanno permesso a centinaia di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo di essere tutelatə e riconosciutə. Un racconto che mette al centro una convinzione profonda: autonomə non vuol dire solə.

Qual era lo status quo relativo alla sicurezza sui cantieri nel pubblico spettacolo quando è nata Doc Servizi?
Noi siamo nati nel ’90, quando c’era un’altra normativa rispetto a quella attuale, parliamo della 626. Però da quando chi lavora nello spettacolo ha deciso di affrontare la propria carriera professionale attraverso la cooperativa, c’è stata fin da subito un’attenzione verso la sicurezza.
Il fatto di essere titolari, padronə del proprio lavoro, ha portato ad essere molto responsabili sulla sicurezza. Mi ricordo che, per interpretare la 626, ci incontravamo per cominciare a capire come applicarla, come creare le modulistiche, come portarla nel mondo delle produzioni, che non c’erano da molto tempo. Insomma stiamo proprio parlando del millennio scorso.
Dopo è arrivata l’8108 nel 2008, che ha equiparato il lavoro dello spettacolo e i cantieri edili. E lì è stato un bel problema, perché sono mondi completamente opposti.
I cantieri edili sono fatti di tubi innocenti, il mondo dello spettacolo è fatto di alluminio, i cantieri edili costruiscono strutture in 3, 4, 5, 6 mesi o un anno, i cantieri invece dello spettacolo si montano in un giorno e il giorno dopo si smontano, quindi una normativa non adeguata.
C’è stato un episodio che ha permesso di velocizzare la necessità di porre l’accento su un tema così importante come la sicurezza?
Nel dicembre 2011 è successo un evento tragico, a un concerto di Jovanotti a Trieste, dove la caduta della struttura ha portato un incidente mortale e diversi feriti. Poco tempo dopo, a Reggio Calabria un altro problema simile ha portato un altro incidente mortale nel nostro settore e questo ci ha portato ad alzare la testa e a rivendicare il diritto a non avere più incidenti sul lavoro.
A Trieste, c’era un nostro associato, e avere a fianco un incidente mortale è stato drammatico. Siamo corsi subito e appena si sono risolti i problemi e le visite all’ospedale del nostro socio, siamo andati all’ispettorato del lavoro, per dire che non ci sarebbero più dovute essere morti sul lavoro nel nostro settore.
Abbiamo cominciato a raccontare come funziona il nostro lavoro perché non era conosciuto, come non erano conosciute le professioni. È stato un grande lavoro che abbiamo fatto subito da Trieste, poi a mano a mano in altre regioni, per raccontare come il nostro lavoro fosse così peculiare, così particolare, così diverso dall’edilizia.
Abbiamo trovato funzionari molto solerti, attenti, ma anche curiosi, perché è un settore nuovo che desta curiosità. Ci hanno aiutato a riscrivere i protocolli della sicurezza e a fare poi tutto quel processo, quel percorso, che ha portato al decreto cantieri. Non era esattamente come l’avremmo voluto e richiesto, però perlomeno il decreto legislativo 8108 che parla di sicurezza sul lavoro, ha aperto un capitolo sullo spettacolo. Un passaggio fondamentale perché adesso con questa modalità di cantieri, questo lavoro è protetto e comunque definito.
Da allora, si è moltiplicata la consapevolezza, l’attenzione alla sicurezza, soprattutto per ə socə delle varie cooperative, perché sappiamo che aderiscono alle cooperative per migliorare, ottimizzare i processi di lavoro, le fasi di lavoro.
Da allora incidenti importanti e gravi non ce ne sono più stati.
L’attenzione alla sicurezza nel nostro settore è a 360 gradi, parte dal committente, lə subappaltanti, le cooperative, ə socə, insomma c’è molto lavoro di formazione e di preparazione, motivo per cui è una delle professioni che risentono meno di incidenti sul lavoro oggi.

In questo come opera Doc Servizi? È cambiato l’approccio negli anni su questi temi?
Abbiamo sempre avuto un team attento alla sicurezza. Abbiamo fatto da sempre la formazione dei proposti. Siamo stati portatori di consapevolezza, ma anche di cultura della legalità.
Gli studi, gli approfondimenti fatti sia dai nostri consulenti del lavoro, sia dai nostri tecnici e dai nostri responsabili di Doc Crew sono stati sempre attenti a raggiungere il nostro obiettivo: incidenti zero. Credo che i pochi incidenti sul lavoro che abbiamo, che sono per incidenti n itinere o poco più, sia un buon risultato.
In Rete Doc abbiamo una cooperativa specifica per la sicurezza, STEA, che si occupa di progettazione di eventi, cantieristica ecc. ecc.
Perché per noi la sicurezza non è solo carte da firmare e documentazione in un posto preciso: ma è anche un’abitudine, un’attitudine. Abbiamo sviluppato dei software, dei protocolli, con persone che lavorano nel team sicurezza, che hanno la reperibilità e che lavorano a turni perché i cantieri degli eventi avvengono 24 ore 24, nel senso che qualche evento è al mattino, altri al pomeriggio, ma anche alla sera. Avere questa attenzione per noi è fondamentale.
Possiamo dire che avete messo questo valore al centro della vostra identità?
Lavorare sui valori, sui valori della sicurezza, in particolare, ci ha aumentato le possibilità e le opportunità di mercato. I grandi clienti, i grandi player, preferiscono giustamente lavorare con chi gestisce la sicurezza col massimo della precisione. È ovvio che nessuno vuole avere problemi di nessun tipo e quindi per noi i valori della sicurezza diventano anche un argomento per poter aumentare le opportunità di lavoro per ə socə e aumentare quindi anche il nostro posizionamento sul mercato. Siamo convinti del fatto che i valori ripagano più dei budget anche rispetto alla sicurezza.

Essere in cooperativa è quindi più tutelante per chi fa questo lavoro?
Essere in cooperativa e gestire la sicurezza è importante perché c’è anche una questione di solidarietà, ma soprattutto perché dà a chi fa questo lavoro, la certezza di non essere soli. Faccio un esempio, ci è capitato di interrompere dei concerti perché un nostro socio aveva individuato un problema sulle strutture. Se si fosse alzata la struttura sopra al palco ci sarebbe stato il rischio che tutto l’impianto cadesse.
Ha fatto le foto, ha mandato la comunicazione al Presidente, all’RSPP e abbiamo valutato insieme che quel concerto doveva fermarsi per non creare incidenti. Alla fine anche gli stessi artisti, informati del problema, hanno accettato di lavorare in unplugged e di suonare senza le grandi strutture.
Se quel tecnico avesse fermato il concerto per mettersi in sicurezza, da singolo individuo, sarebbe di sicuro stato licenziato e non avrebbe più lavorato nel settore. Avendo invece la cooperativa che gestiva tutto, compreso il processo della sicurezza, ha reso lui libero da ogni responsabilità, anzi è stato protagonista di un atto importante e rispetto al settore, rispetto al sistema, abbiamo fatto cultura di sicurezza.
Anche in quel modo e la cooperativa e la cooperazione sono servite, probabilmente, ad evitare incidenti del genere.